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  • L'umilté di Ancelotti contro Guardiola: solo così si ferma il più bravo in attacco

    L'umilté di Ancelotti contro Guardiola: solo così si ferma il più bravo in attacco

    • Massimo Callegari
      Massimo Callegari
    Occ, pazienza e…bùs de cul”. Per banalizzare Carlo Ancelotti basterebbe ricordare la ricetta vincente dell’Arrigo Sacchi originale, l’ispiratore che congiunge le filosofie di Pep e Carletto. Per esaltarlo come merita, invece, bisogna aggiungere la dote citata dall’Arrigo parody account (se fosse su X, si direbbe così): umilté. Già, perché Ancelotti all’Etihad ha mostrato come si può portare anche un Rolex con umilté, come Maurizio Crozza negli straordinari panni di Sacchi a Mai Dire Gol, quasi 25 anni fa e sembra ieri. Non come “Panuzzi (Panucci) che lo espone al polso senza umilté”.

    Ancelotti ha un Rolex al polso e tra pochi mesi aggiungerà un brillante alla sua corona di Re, Real e realista: Kylian Mbappé. Eppure ha avuto l’umiltà di presentarsi all’Etihad accettando la forza superiore degli avversari, ammettendo implicitamente anche quella del suo collega Pep: ok, sei più bravo di me/noi a far attaccare i tuoi campioni, io metto i miei soldati a difesa del castello perché penso che sia l’unico modo per non farmi travolgere e spero che oltre all’occhio e alla pazienza mi venga in soccorso anche…la fortuna. Non ha “allenato sé stesso” (cit. Roberto Cravero) e quindi non ha “voluto vincere la partita da solo” ma ha curato con maniacalità ogni aspetto per fornire le informazioni necessarie a Carvajal, Rudiger e c. per limitare gli avversari. Limitarli, perché disinnescarli totalmente è impossibile.

    È andata così, anche se a nessuno (nemmeno a Bellingham) sfugge che il City abbia avuto un gioco offensivo più strutturato, più bello da vedere e pure molto più produttivo. E che, in caso di ko, se De Bruyne avesse calciato in porta e non alle stelle, ad Ancelotti sarebbe stato rimproverato un atteggiamento troppo difensivo. Mai sfociato però nell’intimidazione o nell’antisportività che caratterizzavano il Real degli Anni Ottanta né l’Atletico del Cholo Simeone contro il City due anni fa.

    E così, undici anni e mezzo dopo, Real-City torna come paradigma dell’anima del Real: “Morire sul campo, questo è il madridismo”, disse José Mourinho dopo aver rimontato il City nella fase a gironi 2012. “Questo è il Real, non muore mai”, hanno tuonato i media di tutto il mondo dopo l’impresa dell’Etihad. Insomma, non solo “tocar y tocar”, il palleggio esasperato che Capello detestava nella sua epoca madridista; ma anche lo spirito da battaglia, da “ogni pallone come se fosse l’ultimo”, esaltato da Rudiger, capace di imbavagliare Haaland per 180’ e poi di calciare con leggerezza e precisione il rigore decisivo quando tutti pensavamo che avrebbe sparato una pallonata sotto la traversa. Già, Rudiger: il simbolo dell’umilté del Real e di Ancelotti, che ha ammesso il suo errore dell’anno scorso, quando lo lasciò in panchina al ritorno dopo l’ottima prova della semifinale di andata su Haaland. Dettagli che, uno dopo l’altro, compongono la corazza che porta al trionfo il Real: come i rigori studiati da Kepa, specialista sui tiri dal dischetto, che mette le sue conoscenze a disposizione del gruppo e quindi del rivale Lunin, che pure gli ha tolto il posto da titolare dopo l’infortunio di Courtois. 

    La missione di Re Carlo, ora, non è finita. Dopo la Champions 2022 vinta grazie (anche) al tacchetto di Mendy nella semifinale di ritorno (ancora tu, Pep) e ai miracoli di Courtois nella finale contro il Liverpool, in questa è sopravvissuto agli attacchi del Lipsia (quarto in Bundes…) e alla valanga azzurra del City. Lui per primo, con umilté, sa che per vincere la decimoquinta la forza soprannaturale del Real Madrid non basterà.

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    Utente CM 932133
    Utente CM 932133

    Solo i milanisti possono difendere una partita anti calcio del genere. Sono i primi ad accanirsi...

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