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  • CALCIO ALLA TV. In Serie A stadi vuoti, solo la tv può pagare gli stipendi ai calciatori

    CALCIO ALLA TV. In Serie A stadi vuoti, solo la tv può pagare gli stipendi ai calciatori

    Il business del calcio resiste alla crisi, anche se il modello di gestione dei club lascia ancora a desiderare. Si può sintetizzare così la mole di dati diffusi ieri dalla Uefa che fotografano lo stato di salute del calcio europeo alla vigilia del debutto - sceicchi e oligarchi permettendo - del fair play finanziario.
     
    Negli anni immediatamente successivi al default di Lehman Brothers e all'avvitamento dell'economia globale, le leghe continentali hanno incrementato nettamente i propri ricavi. Il fatturato del calcio europeo nel 2011 è stato, infatti, di 13,2 miliardi di euro con una crescita del 24% rispetto al 2007.
     
    Nello stesso periodo il costo per i salari dei calciatori è aumentato però del 38% salendo a quota 6,3 miliardi (con un incremento netto di 2,4 miliardi). Salari e spese per i trasferimenti assorbono il 71% dei ricavi dei club (con una crescita esponenziale dal 62% dal 2007).
     
    Questo perdurante squilibrio ha comportato un rosso complessivo per i team delle massime divisioni europee in costante aggravamento: da 0,6 miliardi di euro del 2007 si è passati a 1,7 miliardi nel 2011.
     
    Secondo la «Quinta relazione sulle licenze» che ha raccolto i report di 679 società affiliate a 53 federazioni, il 63% delle squadre di prima divisione deve fare i conti con perdite operative. In particolare, le 235 squadre che si sono presentate ai nastri di partenza della Champions e dell'Europa League 2012/13 hanno registrato un fatturato di 7,8 miliardi, spese per stipendi pari a 5 miliardi e un deficit di 1,2 miliardi (si spendono 11,50 euro per ogni 10 euro di reddito).
     
    Nell'analisi della Uefa in relazione al break-even deficit (il livello massimo di rosso consentito nella prima fase di applicazione del fair play finanziario, 45 milioni, al netto di alcuni costi come quelli legati al settore giovanile) questo rosso si traduce in un "buco" di 480 milioni. Le perdite dei dieci club, sottolinea il report, con il passivo peggiore sono cresciute di 260 milioni di euro tra il 2007 e il 2011, mentre i risultati finanziari dei club in perdita tra l'11esimo e il 30esimo posto sono peggiorati di 310 milioni di euro.
     
    Nella simulazione elaborata dalla Uefa sui bilanci 2009, 2010 e 2011, sempre tra i club che partecipano in questa stagione a Champions ed Europa League, 14 hanno un deficit sopra i 45 milioni di euro e altri 32 un rosso compreso tra 45 e 5 milioni. Tutti club che dovranno migliorare i propri conti se vorranno ancora accedere alle gare ed ai sempre più ricchi premi assicurati in ambito europeo (pari in questa stagione a 1,1 miliardi di euro).
     
    «Il quadro economico di austerità - ha spiegato Andrea Traverso, alla guida della struttura Uefa che si occupa di licenze e fair play finanziario - non semplifica il lavoro dei club ma ha aumentato la consapevolezza sulla necessità di agire senza ulteriori indugi. La crisi economica ha reso più complesso l'accesso alla liquidità in molti Paesi e molte società devono convivere con le limitate disponibilità economiche. Se i comportamenti non cambieranno, per i club aumenteranno i rischi di fallimento».
     
    Quali le soluzioni? Gli stadi di proprietà sono importanti anche se nel panorama continentale non sono così diffusi. Nel 2012/2013, tra le squadre iscritte alle coppe europee solo 55 (il 24%) sono proprietarie dell'impianto in cui giocano. Il 53% degli stadi (124), invece, sono gestiti da un'amministrazione pubblica. Le rimanenti 53 società si trovano a metà del guado: in alcuni casi (6) il club è co-proprietario, ma in genere il team si limita ad utilizzare la struttura che appartiene ad altri soggetti.
     
    Nonostante la programmazione televisiva sempre più ampia, in ogni caso, gli stadi continuano ad essere affollati: nel 2011/2012 gli spettatori "live" sono stati in Europa 103 milioni, con un aumento del 2,5 per cento. La crescita è stata trainata dai Paesi di secondo piano (Serbia +55%, Ungheria +49%, Albania +30%). Tra i campionati leader hanno brillato Bundesliga (+6%) e Liga (+2%), mentre la Serie A ha ottenuto un deludente -7,6 per cento.

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